il Manifesto 4 settembre 2009
Lo scenario politico degli ultimi anni sta arrivando a consunzione. Non sarà facile metterne alla luce uno più decente tanta è la bassezza, istituzionale e culturale, in cui siamo per responsabilità di molti, forse di tutti, nell’inseguire una transizione verso una seconda repubblica che, in assenza di un progetto di qualche spessore, si è risolta soltanto nel tentativo di minare lettera e spirito della Costituzione del 1948 – largo a un mercato da Far West, concessioni illimitate a una proprietà senza coraggio, abbattimento, e possibilmente fine, di ogni diritto sociale. Risultato, un decisionismo cialtrone sommato alla tradizione nazionale di evadere il più possibile la legge e il fisco.
In questo quadro, l’ascesa folgorante di una figura come quella di Silvio Berlusconi ha la sua logica. Non è solo per le sue imprese sessuali – ciliegina sulla torta della legge sulla sicurezza più indecente d’Europa – che si ride di noi, perduto quel rispetto che nel dopoguerra eravamo con fatica riusciti a conquistarci. Tale è l’imbarazzo che circonda l’Italia che siamo usciti perfino dalle abituali statistiche, non siamo neanche un’anomalia, siamo da non prendere sul serio.
Gli scricchiolii si avvertono a destra e a sinistra. Sulla sinistra è perfino superfluo tornare, è detta estrema solo perché ha una certa attenzione alle sofferenze del lavoro e una certa sensibilità allo scombussolamento delle coscienze, ma non è in grado di uscire dalla ripetitività di formule da una parte, Ferrero e Diliberto, e dall’altra dal troppo silenzio di un Vendola diventato oggetto di tiro regionale al bersaglio.
Né è possibile attendersi dal Partito democratico almeno un aggiornamento del keynesismo a livello 2009 – la crisi è tornata tutta nelle mani di chi l’ha provocata e a pagarne le spese sono i ceti più deboli e i lavoratori di ogni tipo, per il calo continuo dell’occupazione. Questo non è solo un problema nostro, anche Obama è in pericolo, incastrato com’è fra il corporativismo della società americana e l’eredità sempre più avvelenata del Medio Oriente.
Insomma “sinistra”, parola che credevamo impraticabile per mollezza, è diventata addirittura simbolo di estremismo, neanche il Pd la pronuncia senza scusarsi, cosa che non succede neppure alla Spd, per non dire della Linke. Di Bersani non ricorderemo certo i voli di pensiero, noioso com’è a forza di buon senso emiliano, e di Franceschini ci rimarrà in mente lo sforzo d’un democristiano perbene per tenere assieme ai ds un settore cattolico lusingato da sirene da tutte le parti.
Questa inaffondabilità dei cattolici è il solo processo che emerga con qualche chiarezza assieme alla crisi del ciclo berlusconiano. Come succede con i personaggi del suo tipo, sarà una fine agitata, a colpi di coda, ma il suo blocco si è rotto.
La scelta del cavaliere per la Lega – unica vera tendenza di fascismo localista e in abiti nuovi – ha posto Fini in posizione di challenger, in nome di una destra meno turpe che non gli sarà facilissimo rappresentare; certo ce la mette tutta. Se l’ex Forza Italia non sa bene dove guardare, An è divisa fra lui e un Gasparri che lo sfida. Lega e Pdl sono entrati in conflitto con la Chiesa (s’erano tanto amati!) per le intemperanze del cavaliere e di Feltri: così pieni di sé che la prudenza è andata a farsi benedire.
Così sotto traccia riappare la voglia di un partito cattolico, sia in chi sta scomodo nel Pd sia in chi sta scomodo nel Pdl, via Casini. L’Italia continua a replicare la partizione tricolore, con un rosso sempre più sbiadito, un bianco sempre piu sporco e un verde da giocare non con la Lega, ma con il Vaticano.
Verrebbe da dire “tanto rumore per nulla”, se il suicidio del Pci e del Psi non avesse spostato a destra l’asse del centro. È curioso che il paese dove più lunghe sono state le code del sessantotto sia destinato a diventare di nessuna, o scarsa, importanza per l’Europa.