Articolo dell’Unità del 4 agosto 2010
Igiaba Scebo
Tetti sventrati, panchine sfondate, ruggine dappertutto. Il vento soffia attraverso le crepe. Sembra di essere in uno strano pianeta dopo qualche catastrofe nucleare. Con me ci sono Ascanio Celestini e Erika Manoni. Ci siamo ritrovati quasi per caso dopo un caffè a vedere l’ex manicomio di Volterra. Siamo saliti a Poggio alle croci e ci siamo ritrovati soli, tagliati fuori. Erika (che insieme al padre Pier Nello Manoni ha dedicato al manicomio il documentario I graffiti della mente) mi spiega che era questo il senso crudele di quel manicomio, dovevi essere lontano da tutto. Chi entrava lì non poteva avere contatti con il fuori. Ecco perché il caso di N.O.F. (L’acronimo sta per Nannetti Oreste Fernando) ha dell’incredibile. Nannetti era internato al padiglione Ferri, quello in cui finivano i «giudiziari». Sui muri del padiglione con la fibbia della divisa ha inciso il suo libro di pietra, un libro lungo 180 metri di muro. Nannetti tracciava prima i contorni delle pagine e poi li riempiva di parole e immagini. N.O.F era di Roma, nato nel 27, rione Sant’Anna, si descrive come “moro, spinaceo, naso a Y”. Di se stesso dice anche di essere “colonnello astrale, ingegnere astronautico minerario”. Prevede l’uomo sulla luna prima che Armstrong ci mettesse piede. Colpisce l’acutezza con cui parla del manicomio e dei sistemi brutali usati. Una delle incisioni riguarda proprio la percentuali dei decessi: “10% deceduti per percosse magnetiche-catodiche, 30% per malattie trasmesse, 50% per odio, mancanza di amore e affetto”. Ora il libro di pietra di Nannetti sta scomparendo. Il tempo e il vandalismo stanno facendo scempio di questa opera. La collection de l’art brut di Losanna (che ha preso i calchi dei graffiti) dedicherà a N.O.F una mostra. Purtroppo nessuno sa dire che fine farà l’originale.