Signor sindaco,
notificando al Consiglio comunale del 31 agosto che la sua amministrazione non avrebbe aderito alla costituenda Unione dei Comuni lei l’ha motivata spiegando che d’ora in poi «Volterra starà a guardare, non farà più la prima della classe come ha fatto chiudendo il manicomio e perdendo 1200 posti di lavoro». Debbo dirle che così lei mi ha offeso e indignato tre volte:
– da cittadino, italiano di nascita e volterrano d’adozione;
– da amico personale di Franco Basaglia e di tanti suoi collaboratori, a cominciare dalla moglie Franca Ongaro;
– da cronista, testimone per oltre un quarto di secolo assieme a mia moglie, della loro dura sofferta battaglia culturale e civile per restituire cittadinanza e dignità ai matti veri e a tutti gli altri poveri cristi reclusi nei manicomi.
Per queste tre ragioni essenziali, e per le altre che ne discendono e che cercherò di spiegarle, non posso tacere né fermarmi a una lettera privata.
Giuseppe Furlanis, l’assessore alla cultura che lei aveva incomprensibilmente nominato forse non conoscendolo bene, che forse aveva accettato la nomina non avendo ancora capito bene lei e il suo programma, e cui son bastati sei mesi per capire e dimettersi, le ha già risposto con amara chiarezza nella lettera aperta del 2 settembre: «Nessun posto di lavoro può giustificare una vita marginalizzata e maltrattata. La chiusura dei manicomi, nonostante i sacrifici che ha comportato, è stata una scelta di civiltà che deve essere difesa. Ci sono valori che non hanno prezzo!».
Non condivido tuttavia la generosa speranza dell’ex assessore Furlanis che quest’ultima sua da sindaco possa essere stata «una uscita infelice, fatta senza riflettere sulle parole dette e non sia invece una frase meditata per raccogliere quel consenso populista caratterizzato da una crescente grettezza di sentimenti che sembra dilagare nel nostro paese e che ci avvia verso un declino culturale ben più grave e pericoloso di quello economico».
Eh no: l’ipotesi che il primo cittadino di una città pur piccola ma con una storia plurimillenaria di civiltà e cultura sproloqui a vanvera, “senza riflettere”, su argomenti tanto sensibili è diversa ma non minore né migliore dell’altra, che lo faccia per squallido calcolo elettorale. Mostrando di neppur sospettare la vastità e complessità del dibattito etico-culturale non soltanto italiano sul movimento antimanicomiale. Nulla avendo da dire e meno ancora da proporre sui problemi irrisolti dall’attuazione incompleta della riforma. L’ignoranza di tante cose non è certo reato ma diventa responsabilità politica non usare la competenza di chi le cose dovrebbe saperle: un assessore alla cultura, per esempio.
C’è poi una sua personale aggravante specifica, signor sindaco: lei prima d’essere eletto era infermiere all’ospedale civile: facendo quel mestiere, per di più lo stesso di suo padre, non può non avere almeno intuito quale potesse essere la reale condizione dei ricoverati in manicomio, matti e no. Quanta la responsabilità collettiva dell’istituzione manicomiale in sé. Salve ovviamente le tante onestà individuali che so particolarmente frequenti e incidenti nella storia finale del San Girolamo. Dove (so anche questo) molti fra i superstiti dei 1200 che secondo i suoi calcoli avrebbero perso il posto di lavoro non vorrebbero mai tornare, alle condizioni e nelle situazioni pre legge 180.
Quanto al problema delle parti mai attuate della 180, imbroglio truffaldino di chi rimpiange la chiusura dei manicomi o addirittura si dà da fare per riaprirli in maniera più o meno camuffata, riterrei opportuno che Volterra seguitasse a fare la prima della classe proprio come lo fece il 31 dicembre 1996. Quel giorno anche il San Girolamo fu definitivamente chiuso. Ma a differenza di molti altri ospedali psichiatrici s’era già dato le strutture e l’organizzazione necessarie ad accompagnare fin dove possibile il reinserimento delle persone dimesse nella vita civile col recupero della loro dignità di cittadini: strutture abitative territoriali, assistenza programmata infermieristica e medica anche domiciliare, disponibilità di educatori e assistenti sociali.
Le chiedo se lei, insediandosi al Comune, forte anche della propria professionalità, si sia mai domandato come e perché quel patrimonio esemplare di sensibilità ed esperienza si sia dissolto negli anni. Se, presentandosi come innovatore rispetto ai moduli di una amministrazione giudicata stantia e logora, abbia mai ipotizzato di innovarla davvero cominciando dalle cose davvero qualificanti, insieme anche indagando sulle responsabilità dirette e indirette dei suoi deprecati predecessori per denunciarle.
Vorrei infine capire da dove lei attinge notizie e dati. Sono un vecchio cronista. Amico di Franco Basaglia, ho avuto il privilegio di seguire il suo lavoro e la possibilità di testimoniarlo in decine di articoli e inchieste, da Gorizia a Colorno ad Arezzo. Dalla costituzione a Bologna di Psichiatria democratica all’irruzione di Marco Cavallo col suo stupefacente corteo di matti nelle strade di Trieste. Pur da foresto, non mi ci è voluto molto per capire qui a Volterra dove e come documentarmi. Certo, la tecnica del mio mestiere assieme all’esperienza specifica nel ramo mi hanno aiutato. Ma la tecnica e l’esperienza del suo di mestiere dovrebbero essere altrettanto se non più utili a lei, indigeno. Ci sono un sacco di fonti, orali e documentarie: basterebbe la voglia e la pazienza di consultarle.
Il calcolo di 1.200 posti di lavoro persi come l’ha fatto? A me risulta che il progressivo ridimensionamento dell’ospedale psichiatrico di Volterra sia cominciato parecchi anni prima della chiusura di fine ‘96: già quasi dimezzati i ricoveri (da 1920 a un migliaio) tra il 1970 e il ’74). Ai progressi della medicina s’era aggiunta la parallela maturazione di una nuova consapevolezza sociale spinta dalla lungimiranza di alcuni politici: le cito soltanto la legge Mariotti (431/‘68) per ricordarle come la successiva Basaglia (180/‘78) non fosse un fungo spuntato dalla fantasia malata di un individuo ma al contrario il risultato di un lungo responsabile faticato percorso che l’impegno responsabile e coerente di una persona aiutata da un numero via via crescente di altre persone (medici, infermieri, sociologi, sindacalisti, artisti, intellettuali) ha saputo trasformare in azione politica. Che ha avuto tra le prime e migliori applicazioni proprio qui a Volterra. Dove un’alta percentuale dei dipendenti in esubero ha trovato reimpiego nelle nuove strutture del territorio e del rinnovato ospedale civile e altri hanno avuto il prepensionamento.
Ora lei, suo primo cittadino, ci viene a dire che Volterra “starà a guardare”: che cosa? Magari se arriva quel “consenso populista caratterizzato dalla crescente grettezza dei sentimenti” paventato dall’ex assessore Furlanis? Io, al suo posto, non mi contenterei di stare a guardare. E come vede non me ne contento neppure da ultimo dei cittadini volterrani. Perché vorrei veder arrivare un soprassalto generale di memoria, particolarmente essenziale in chi come lei è giovane. Perché, grazie anche alla lunga frequentazione con Basaglia e i basagliani, ho capito che l’impegno, per quanto faticoso e costoso, vale sempre più del comodo attendismo dell’indifferenza.
Giorgio Pecorini
Volterra, 8 settembre 2011
2 risposte a “Giorgio Pecorini: lettera aperta a Marco Buselli, sindaco di Volterra”
Vorrei ringraziare Giorgio Pecorini per la sua bella e sentita lettera che condivido pienamente.
Se eravamo 1200( fra questi mio padre allora Direttore del manicomio) a credere fermamente nella chiusura del manicomio di Volterra, oggi siamo in molti di più a non volere con la stessa fermazza e lo stesso senso civico e morale di allora, che si riaprano.
Rosaria Pellicanò
Paolo Tranchina mi ha girato la lettera aperta al sindaco di Volterra.
Ben fatto!
Mi domando come abbia trovato i voti questo signore: a fine maggio ho presentato a Volterra, con Paolo Tranchina e Daniele Luti, il mio libro “Alla fine dell’arcobaleno”, in gran parte dedicato proprio alla storia del manicomio volterrano.
C’era un sacco di gente commossa e orgogliosa di aver partecipato a quella storia; persone (lo so bene per aver percorso quegli eventi)che magari allora ci erano ostili, ma che oggi sentono l’orgoglio di essere volerrani
proprio per quella scelta di tanti anni fa.
Mi farebbe piacere farle avere il libro: anche se è reperibile in commercio, sarebbe un gesto di riconoscimento tra volterrani di complemento, ma senz’altro più volterrani del signor Buselli.
Mi faccia avere il suo indirizzo.
Cordialmente
Francesco Tornesello